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A Palazzo Cucchiari la Belle Epoque incanta

A Palazzo Cucchiari la Belle Epoque incanta

Uno straordinario viaggio nella pittura italiana moderna. Corcos, Fattori, Zandomeneghi e Pellizza da Volpedo
riuniti a Carrara nel Palazzo della Fondazione Giorgio Conti.



The exhibition features over 90 works from private collections, divided into seven sections in the magnificent halls of Palazzo Cucchiari in Carrara. After the Italian Unification, Italian artists sought to create a national language through art as well, embracing international figurative innovations. Photography, having developed itself as a new artistic expression, influences and coexists with painting, which welcomes its modern suggestions. Divisionism fascinates many painters competing with color layering and fragmented forms. This outstanding journey through modern Italian painting is remarkable for number and value of masterpieces never seen before in a single exhibition.

Una imperdibile mostra a Palazzo Cucchiari, nel cuore di Carrara, ripercorre gli anni della Belle Époque tra le firme note di pittori e scultori celebri del panorama artistico italiano. Oltre 90 opere di collezioni private per immergersi in uno dei periodi più prolifici dell’arte, in cui pittura, scultura e fotografia dialogano in sinergia. Realizzata con la collaborazione della Fondazione Giorgio Conti, il curatore Massimo Bertozzi, ci spiega nel dettaglio il percorso espositivo.

Si tratta di una mostra importante, più di 90 opere provenienti da collezioni private suddivise in sette sezioni. Qual è stata la genesi di questo progetto espositivo? Quali sono stati i principali ostacoli e successi nella sua realizzazione?

Le idee scaturiscono da situazioni inusitate e arrivano quando meno te le aspetti, poi si mettono via fino a quando si risvegliano e chiedono considerazione, di essere “messe a terra”, di concretizzarsi nella fattibilità di un progetto. In questo caso si propone l’idea che, dopo l’Unità italiana, come nel caso della lingua parlata, anche per i linguaggi pittorici si sia trattato di ricostruire una espressività comune, che fosse insieme rispettosa della tradizione e aperta alla modernità, italiana e al passo con le realtà internazionali. 

Una mostra così articolata deve fare i conti con l’ottenimento del prestito di alcune opere fondamentali, come un ordito intorno a cui si intreccia la trama di tutto il resto: la Visita di Lega dagli Uffizi, la Processione di Pellizza dal Museo della Scienza di Milano, il Contadino di Balla dall’Accademia di San Luca e poi la Cantante mondana di Boldini dal Museo di Ferrara o il Caffè in Piazza San Marco di Cammarano dalla GNAM di Roma così come i Figli del popolo di Toma dalla Galleria Giaquinto di Bari, sono stati in effetti i poli di attrazione per i tanti preziosi e insoliti prestiti da gallerie e collezioni private.

  • I lavori esposti coprono un periodo storico particolarmente ampio dal 1864 fino al 1917, contrassegnato dall’avvento della fotografia come nuova forma d’arte. Pittura e fotografia: competizione o sinergia? 

Certo che ci fu non solo concomitanza ma anche contaminazione: la forza imitativa della pittura viene messa in discussione dalle capacità “copiative” della macchina fotografica, ma poi le due forme espressive poterono convivere pacificamente: come si sa la prima mostra degli Impressionisti fu allestita nello studio di Nadar, il più famoso fotografo del tempo, e per suo conto Degas fu un fanatico praticante della fotografa, a cui rubò soprattutto le suggestioni “moderne” dell’immagine: le inquadrature sbilenche, le vedute dall’alto, le false prospettive dei primi piani. 

A. Mancini, La ricamatrice, 1914. Accademia Nazionale di S. Luca, Roma.

  • In Ferrazzi, con Maternità, la marezzatura del fondo e il panneggio divisionista si accompagnano a macchie di tela non completamente coperte dalla pittura, così come in Mancini affiora la quadrettatura preparatoria. Si tratta di tecniche pittoriche o di opere incompiute?

Si tratta di situazioni diverse; nel caso di Ferruccio Ferrazzi si tratta di conferire all’immagine un tono di ‘irrealtà’, di una situazione sognata e quindi un po’ evanescente: il giovane Ferrazzi sperimenta la forza innovativa del colore diviso e della forma sfaldata: Nel caso del “vecchio” Mancini, tutto si riconduce al senso plastico della sua pittura, all’uso corposo e compatto del colore, che seccando riporta in superfice l’impianto figurativo dell’idea di fondo. 

Quello che non si sa come giustificare è l’utilizzo del reticolo per l’inquadratura dell’immagine, di una tecnica cioè che veniva usata solo per favorire l’ingrandimento delle figure, nella pittura murale ad esempio, o per il rovesciamento dell’immagine nella pratica dell’incisione. 

  • Non solo quadri e stampe ma anche un’intera sezione sulla scultura che arricchisce e completa la mostra. Quali temi comuni emergono e come arricchiscono la narrazione complessiva della mostra?

Il contributo della scultura al rinnovamento dell’arte italiana dopo l’Unità è ancora tutto da scrivere, soprattutto in merito alle contaminazioni francesi, a cominciare dall’impressionismo di Rodin e di Medardo Rosso, o altrimenti internazionali, come gli apporti delle varie “Secessioni”. In questa mostra si segnala il contributo agli sviluppi nostrani dell’art nouveaux, delle due figure più rappresentative della “modernità” italiana: un contrastato dialogo tra i ripensamenti rinascimentali di Leonardo Bistolfi, assuefatto al simbolismo patriottico pascoliano, e lo svolgimento lineare delle figure, eleganti e aristocratiche di Paolo Troubetzkoy, piuttosto in sintonia con il sentimento decadente dell’edonismo dannunziano.

Fino al 27 ottobre 2024. Per info Palazzo Cucchiari (Carrara)

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