Al MAD le opere di giovani artisti chiamati a interpretare concetti a fondamento dell’Unione Europea. Libertà, unità, memoria, comunità e parità nel progetto del Commissario straordinario di Governo Silvia Costa.
“Occupo un piccolo spazio di mondo, ma non l’ho delimitato” (Altiero Spinelli). La frase è il sottotitolo della Mostra, ‘Nel Segno della Libertà’.
Opera di Stefano Bellanova
“Nel Segno della Libertà” è il titolo della mostra inaugurata al MAD il 14 giugno che resterà aperta ancora fino al 23 luglio. Sono gli ultimi giorni per visitare una mostra introspettiva e coinvolgente, che affronta tematiche importanti sulla detenzione minorile proponendo una riflessione sul valore della libertà. Ideata da Silvia Costa, Commissario straordinario di Governo per il recupero dell’ex carcere borbonico a Ventotene, ha coinvolto Istituti di Cultura europei, l’Archivio storico dell’Unione Europea di Firenze e del Ministero della Giustizia. Il progetto artistico – già ospitato presso l’Istituto Centrale di Restauro di Roma – è stato accolto dallo spazio espositivo del MAD Murate Art District coinvolgendo numerosi giovani artisti e curatori dell’Accademia di Belle Arti di Firenze e di Roma: Stefano Bellanova, Giorgia Errera, Sadra Ghahari, Weronika Guenther, Martin Jurik, Katerina Kuchtova, Federico Niccolai, Marianna Panagiotoudi, Karina Popova, Ilaria Restivo, Zoya Shokoohi, Maria Giovanna Sodero, Valerio Tirapani e Laura Zawada.
Gli artisti sono stati invitati a esplorare concetti come unità e parità, ispirandosi ai testi dei giovani reclusi durante un laboratorio di scrittura creativa guidato da Salvatore Striano. Le opere, esposte nel Complesso delle Murate a Firenze, trasformano le celle in simboli di mondi sconosciuti e luoghi di memoria. Oltre a essere una mostra d’arte, è una sfida a comprendere la libertà e la dignità della pena, collegando le voci dei detenuti a un dibattito fondamentale nell’Unione Europea.
Abbiamo intervistato Sadra Ghahari una delle artiste dell’Accademia di Belle Arti di Firenze che ha creato per l’occasione un’opera site specific. Sadra è nata e cresciuta in Iran ma qualche anno fa ha deciso di lasciare il suo Paese per realizzare il suo sogno, diventare un’artista, e si è iscritta all’Accademia dove sta completando il suo percorso di specializzazione, collaborando a vari progetti culturali.
Sadra quale è stata la fonte di ispirazione per la sua opera?
I testi scritti dai giovani detenuti mi hanno colpito moltissimo perché emergono tutte le difficoltà che hanno incontrato nella loro vita. Alcuni sono extracomunitari e hanno vissuto ai margini della legalità per difetto di integrazione nel tessuto sociale del paese di arrivo. Non riescono ad esprimersi e e questo li isola ancora di più. Ho provato anche io questa sensazione di inadeguatezza quando sono arrivata in Italia, è stato difficile riuscire a costruirsi una vita provenendo da una cultura in cui i codici comunicativi sono molto diversi.
Cosa è per questi ragazzi la libertà?
Cito una frase di un ragazzo che ha scritto: “Per me la libertà è la mia famiglia e quando vengono a trovarmi riesco a respirare. La libertà è come un figlio di cui prendersi cura.” Nelle loro testimonianze è evidente la mancanza di amore, di affetto, di considerazione e c’è un senso di smarrimento profondo. Come dicevo vivere in un paese che non si conosce è difficile e non tutti hanno la forza di reagire. Ti manca il tuo paese, la tua famiglia, ti senti solo e capisci quanto sia importante incontrare le persone giuste, perché è molto facile perdersi.
Perché ha deciso di realizzare la sua opera in una cella?
Durante la visita alle Murate ho capito che la mia creazione sarebbe avvenuta in quello stesso luogo di sofferenza, di isolamento, di limitazione della libertà in cui erano nate quelle riflessioni. Dunque un’opera site specific. Sui muri ho letto le parole di chi aveva trascorso lunghi periodi di detenzione, ho visto macchie, screpolature e ho pensato di riportare questi segni sul corpo della mia scultura, una madre che accoglie e protegge i figli e porta addosso il peso di chi si è perso. Per ogni uomo, di qualsiasi cultura e provenienza, la Madre rappresenta l’amore incondizionato e con la sua esistenza si prende cura di coloro che stanno soffrendo. Non volevo parlare di una Madre che dà la vita ma di una Madre-Famiglia.
Nella sua opera i figli hanno un colore diverso dalla loro Madre.
I figli che la circondano hanno un colore diverso, pulito, uniforme, mentre la Madre assume su di sé le colpe, gli errori di questi giovani, per dare loro un’altra possibilità. La scelta del materiale non è casuale. A prima vista sembra una scultura realizzata con una pietra dura, ma in realtà si tratta di cartapesta, un materiale che può facilmente sciogliersi con poche gocce di acqua. Così ho voluto rappresentare la fragilità di queste persone e sensibilizzare il pubblico sull’importanza di non condannare in modo inappellabile chi sbaglia, soprattutto quando è così giovane.