A Villa Bardini l’arte di Lisetta Carmi: uno sguardo profondo sull’Umanità
“Vivrai 5 vite” disse a Lisetta Carmi il Babaji Herakhan Baba, il Mahavatar dell’Himalaya quando si incontrarono in India. In quelle parole era racchiuso quel mantra che avrebbe accompagnato tutta la vita dell’artista, dedicata alla conoscenza dell’Umanità attraverso il linguaggio della fotografia.
A causa delle leggi razziali fu costretta a lasciare l’Italia all’età di quattordici anni senza poter concludere gli studi. Lisetta Carmi si laureò successivamente al conservatorio di Milano, scoprendo in seguito ad un viaggio con Leo Levi, che la fotografia avrebbe potuto dare voce alle sue emozioni.
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Il titolo della mostra Suonare forte visitabile fino all’8 ottobre a Villa Bardini, richiama il connubio delle due arti, associando immagini a sottofondi musicali. Lisetta Carmi, talento eclettico, ha scattato in venti anni centoottanta fotografie che raccontano mondi a volte distanti ma uniti da un fattore comune, l’Umanità.
Le sezioni presenti in mostra sono nove. Al mondo femminile è dedicata Le donne, un viaggio attraverso la Sicilia, il Messico, l’India fino al sugherificio di Calangianus in Sardegna, per continuare negli ospedali cittadini in cui si documenta, con immagini prive di retorica, l’arrivo della vita con emozione diretta (Il Parto). I dodici scatti a Ezra Pound restituiscono dello scrittore un ritratto penetrante, realizzato in soli quattro minuti durante l’incontro tra i due che avvenne nel 1966 a Zoagli.
Nella sezione dedicata al tema del lavoro La fabbrica Illuminata, sono esposte le foto che Lisetta Carmi scattò nello stabilimento dell’Italsider, dove riuscì ad entrare fingendosi parente di un portuale e descrivono lo spaccato crudo delle condizioni in cui lavoravano gli operai, molti dei quali portavano sulla pelle i segni delle ustioni causate dalle scintille.
Due sono le sezioni inedite: la prima riguarda l’alluvione di Firenze, con immagini che, come nature morte in bianco e nero, fanno riemergere quei momenti drammatici. La seconda presenta ilpianista Luigi Dallapiccola, amico e maestro di Lisetta, per il quale interpretò per immagini astratte i suoni di undici brevi partiture. Lisetta Carmi intervenne sui negativi graffiandoli per aggiungere simboli, accenti, contrappunti ma anche ritmi, colori, quartine. Al progetto sono accompagnati quattro ritratti del compositore e i suoi brani in sottofondo che completano in sinestesia.
Ma il reportage più coraggioso è senza dubbio quello dedicato ai Travestiti del ghetto ebraico di Genova, con i quali in occasione del Capodanno del 1965, Lisetta Carmi instaurò una relazione d’amicizia che durò cinque anni. La fotografa volle narrare la loro condizione di isolamento ed emarginazione, condividendo con essi la stessa difficoltà a identificarsi in un genere unico per la società.
La fotografia aveva permesso a Lisetta Carmi “di fissare in uno scatto quello che sentiva con il cuore e l’anima”. Non mancano i paesaggi nella sua produzione ma il suo interesse è prevalentemente rivolto verso gli esseri umani, soprattutto a coloro a cui – come racconta nell’intervista – “è stata negata la parola”. Durante un viaggio in un quartiere povero di Maracaibo ricorda l’allegria e i sorrisi dei bambini poveri, che nonostante le loro condizioni, erano più felici e liberi dei bambini dei ricchi “chiusi nelle loro case”. Sulla musica e la fotografia era solita dire: “Sono convinta che quando si sa suonare uno strumento si può fare qualunque cosa nella vita. Perché la musica ti dà un’anima. E la fotografia fu il corpo in cui la incarnai”.
La mostra è stata realizzata grazie all’accordo tra Fondazione CR Firenze e Intesa Sanpaolo rappresenta il primo appuntamento del progetto delle Gallerie d’Italia “La Grande Fotografia Italiana”. Inaugurato nella sede di Torino e curato da Roberto Koch, è una celebrazione della fotografia del Novecento che ha permesso di conoscere il nostro passato e capire il presente, riducendo le distanze culturali.
Di Gaia Carnesi