Dall’Archivio Alinari un viaggio visivo con immagini inedite
Ci sono nomi che non appartengono al tempo, lo attraversano e rimangono scolpiti, come il marmo, nella memoria collettiva. Michelangelo è uno di questi. Scultore, pittore, artista illustre, che con le sue opere ha lasciato in eredità un linguaggio universale capace di comunicare la grandezza dell’essere umano. La sua arte torna a parlarci nelle sale di Palazzo Strozzi Sacrati, a Firenze, a 550 anni dalla sua nascita e in occasione della mostra “Vedere Michelangelo. Fotografie degli Archivi Alinari”. Un’esposizione che celebra l’incontro tra arte e fotografia e che esplora la relazione del genio rinascimentale con gli straordinari scatti dei fratelli Alinari.
Promossa dalla Fondazione Alinari, con il sostegno della Regione Toscana, l’esposizione raccoglie 33 fotografie, negativi e stampe d’epoca che si susseguono per immortalare la produzione del Divin Artista le lenti di Leopoldo, Giuseppe e Romualdo Alinari, i fondatori della prima azienda fotografica al mondo. Un viaggio visivo che porta lo spettatore a osservare la produzione michelangiolesca da un punto di vista inedito, con lo sguardo di chi ha saputo raccontarlo tra inquadrature, luci e ombre.
La mostra racchiude l’intenso lavoro svolto dagli Alinari tra Ottocento e Novecento, documentando epoche, tecniche e approcci differenti. La passione e la riverenza di Leopoldo verso Michelangelo lo portarono a raccogliere innumerevoli riprese, partendo dalle prime immagini del David, scattate tra il 1852 e il 1855, quando ancora si trovava esposto sull’arengario di Piazza della Signoria. Le fotografie degli Alinari seguiranno la produzione di Michelangelo per oltre un secolo, dai disegni conservati agli Uffizi, all’abitazione personale, fino alle opere romane e ai Prigioni custoditi a Parigi.

Il percorso espositivo si arricchisce poi dei lavori di altri due grandi atelier della fotografia, quello dello stabilimento Brogi, che con una serie di scatti realizzati tra il 1940 e il 1943, permette di osservare le sculture della Sacrestia Nuova come non si sono mai viste, distese per terra, durante gli spostamenti delle opere per motivi di sicurezza con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale; e quello dello studio di Domenico Anderson, con le sue lastre negative dalle dimensioni ambiziose ed eccezionali per l’epoca e il tentativo di immortalare il soffitto della Sistina nella sua interezza.
“Vedere Michelangelo” invita così a interrogarsi su cosa significhi davvero ‘vedere’ un’opera d’arte: è una riflessione sullo sguardo, sulla mediazione dell’immagine, su come la fotografia abbia contribuito, fin dai suoi albori, a costruire l’immaginario collettivo che ancora oggi associamo al genio di Michelangelo. Un’esperienza di doppia visione, dove l’artista che scolpiva l’eternità nel marmo incontra chi, con l’obiettivo fotografico, ha saputo fermarne la grandezza nella luce e nella carta.