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Tracey Emin: corpi feriti

Tracey Emin: corpi feriti

Belligeranza e amore. L’arte come via di salvezza

«Sono sul ciglio dell’abisso ma la vista da qui è eccezionale» 
(Tracey Emin)

Corpi fragili, crudi e imperfetti sono protagonisti nelle opere di Tracey Emin, artista inglese simbolo di forza e resilienza. Scoprire nell’arte l’antidoto che libera e guarisce dai tormenti più intimi e dalle ombre del passato è la sua vittoria. Sex and Solitude, in mostra a Palazzo Strozzi fino al venti luglio, è un viaggio interiore attraverso un’arte viscerale e travolgente. La vita è la prima ispirazione, come le relazioni amorose, la malattia e le ferite tutte.

Le radici familiari turco cipriota e anglo romanichal (gruppo rom presente in Inghilterra dal cinquecento) influenzano l’artista, avvicinandola da subito alla pittura religiosa bizantina. 

Tracey Emin abiterà vulnerabile un senso di appartenenza complicato, sempre alla ricerca di una pace interiore. Come scriveva Elsa Morante in L’isola di Arturo, quando nel sangue scorrono origini diverse, si convive con un’irrequietudine che domina le azioni e mai avvertirai i confini, poiché non li possiedi. Questa mancanza di limiti che caratterizzerà la vita dell’artista, sarà per lei nel contempo arma autodistruttiva e produttiva. Il nudo e l’autoritratto sono i suoi generi ricorrenti, il corpo della donna è vita e morte insieme, mentre la passione sessuale si fa poesia senza censura né tabù. Apprende la storia dell’arte ai tempi del college alla National Gallery, dove si fermava osservando la pittura rinascimentale e classica. L’espressionismo di Egon Schiele e Munch segna però la sua inclinazione a figure spigolose e contorte. Molte saranno le affinità significative per la sua realizzazione professionale, come quella con la designer Sarah Lucas, con la quale a Londra crea The Shop, uno spazio espositivo e di vendita delle loro opere con la quale diventa volto di spicco dei Young British Artists, movimento d’arte contemporanea attivo tra gli anni ottanta e novanta. Apprende la tecnica della fusione a cera persa e del bronzo in una fonderia newyorkese grazie al legame con la nota artista Louise Bourgeois. Realizzerà così numerose sculture piccole o imponenti, dove esprimersi attraverso un’altra manualità come con gli arazzi e i ricami. Congela la sua scrittura nelle installazioni al neon, riportando frasi come confessioni. 

Tracey Emin, Sesso e Solitudine, Palazzo Strozzi, Firenze, 2025. Foto Ela Bialkowska, OKNO Studio ©Tracey Emin. Tutti i diritti riservati, DACS 2025.

L’opera Chi soffre ama per esempio trasmette, pur brillando, il contrasto nel legame tra sentimento e dolore. L’atto del dipingere è uno stato mentale e solo l’umore può influenzarne la resa, non lo spazio. L’artista dopo un aborto abbandona la pittura per sei anni. Nel 1996 attraversa questo lutto chiudendosi in una galleria e realizzando L’Esorcismo dell’ultimo dipinto che abbia mai fatto, performance e installazione, riprodotta in una delle sale di Palazzo Strozzi, che ripropone uno spazio di lavoro caotico dove è modella e artista nel contempo. La maternità perduta è la sua ferita più profonda che però sublima in una figliazione simbolica, divenendo Madre della propria arte. Nei titoli delle sue opere rimbombano concetti forti come simboli: Esorcismo, crocifissione, salvezza, sangue, anima, paradiso in un’alternanza tra erotismo ed astinenza. 

La solitudine è forza e condizione ideale per l’espressione di sé. Quel tempo notturno sospeso tra il sonno e la veglia, in cui ci si sente più soli, è lo spazio in cui Tracey trova l’ispirazione maggiore, entra nei suoi quadri e ci si perde in piena vulnerabilità.

Intrinsecamente connessa all’amore e vicina al divino, l’arte guarisce le ferite tanto quanto il tempo.

Dopo una vita di lotte interiori, conflitti sentimentali e paure Tracey Emin ci svela attraverso la sua arte una preziosa lezione, mai attuale come in questo tempo…La salvezza è la pace e il perdono rende liberi.

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