
Firenze si affaccia su panorami artistici versatili e recenti attraverso una finestra ampia e performante, il Museo Novecento. In questo luogo passato, presente e futuro si incontrano in un dialogo profondo, caratterizzato dal filo rosso dell’impegno sociale, della varietà e valorizzazione della figura femminile nel mondo culturale. Storico e critico d’arte, scrittore e giornalista, curatore di mostre, Sergio Risaliti è il direttore artistico del giovane Museo, un luogo che porta con sé l’eco di una lunga storia, sede dell’antico Spedale delle Leopoldine. Attraversando il luminoso loggiato disegnato da Michelozzo, seguace di Brunelleschi, è possibile contemplare ricche collezioni.
Direttore, il Museo Novecento è uno spazio culturale che affonda le sue radici nel passato. È stato difficile conciliare le origini di questo luogo con la sua identità contemporanea che si avvale di linguaggi artistici alternativi alla tradizione fiorentina?
Mi entusiasmo sempre di fronte a queste sfide, specialmente quando si tratta di far dialogare i linguaggi della contemporaneità con il patrimonio storico e artistico. Una sfida anche logistica perché affrontiamo difficoltà strutturali che richiedono di orientare bene il progetto nella scelta delle opere adattandolo alle prestazioni di uno spazio conventuale rinascimentale. Quest’anno la forte concentrazione di artiste femminili si lega molto bene alla storia dell’edificio, prima ospedale e poi convalescenziario per giovani donne. La recente mostra di Louise Bourgeois lo ha celebrato brillantemente.
Nella sua attività di curatore scientifico e ideatore di mostre ed eventi culturali ci sono modelli internazionali a cui si ispira?
Il mio punto di riferimento principale resta il Centre Pompidou di Parigi, dove andai a diciotto anni. Da allora ho capito che i musei non possono che essere grandi macchine culturali che associano alla conservazione di una collezione la produzione artistica, gli eventi, laboratori per bambini, performance. Oggi i musei dovrebbero corrispondere a questo impianto polifunzionale.
Temporaneità e permanenza al Museo Novecento si intrecciano. Siamo gli unici in Italia ad avere aggiunto la formazione all’arte aprendo cinque appartamenti studio di residenza d’artista. In merito all’educazione artistica abbiamo realizzato il progetto Outdoor, dove portiamo le opere del novecento nelle scuole e persino nel carcere di Sollicciano.
Qual è stato l’incontro più significativo per lo storico dell’arte, quale per il direttore artistico?
Sicuramente quello con gli artisti. Mario Merz, Giulio Paolini, Jannis Kounellis e Cecily Brown, ma sul campo dello storico e critico dell’arte direi Harald Szeemann, un grande curatore, ma anche Paolo Fossati e gli storici per me più significativi Longhi e Baudelaire, che ha scritto bellissimi testi sulla storia dell’arte.
Pensa che negli anni Firenze riuscirà a conciliare la sua profonda impronta rinascimentale con la crescita e la progettazione di spazi contemporanei senza sensi di colpa?
Credo che la continua diffidenza e indifferenza verso il moderno e contemporaneo continui a pesare sulla bilancia dello sviluppo della città. Firenze vive del patrimonio artistico del suo passato.
Come direttore artistico qual è stato il bilancio dell’anno che si è appena concluso?
Super positivo, come impegno profuso, obiettivi raggiunti, come programmazione svolta, mantenendo un livello alto nella qualità scientifica, nelle proposte, con un giusto equilibrio tra entrate e uscite.
Nell’era dell’immagine digitale i musei possono svolgere ancora un ruolo di valorizzazione dell’esperienza artistica per il pubblico e in che modo il Museo integra l’impatto visivo dei social nella sua strategia di comunicazione?
Gli strumenti digitali vanno saputi utilizzare per lo sviluppo delle qualità sensibili e delle capacità cognitive delle persone. Bisogna capire che l’esperienza dell’arte non è solo ludica ma in certi casi richiede un tempo lento. Appropriarsi di momenti di contemplazione è talvolta faticoso, perché richiede applicazione e dedizione.
Pensa che uno spazio museale debba evolversi insieme ai tempi e alla società? Come si immagina il Museo Novecento tra cento anni?
Fra cento anni spero non si siano persi di vista i principi fondamentali che mettono al primo posto la sensibilità umana. C’è uno spostamento sempre più prepotente verso il virtuale in una perdita di integrità del rapporto mente-corpo-anima. Ciò vuol dire portare gli esseri umani a esistere demandando a protesi tecnologiche la completezza dell’essere.
Lei ha lavorato moltissimo per educare i bambini ai linguaggi artistici e visivi. Cosa la sorprende del loro rapporto con l’Arte?
Mi insegna più che sorprendere, soprattutto a comunicare l’arte, la vita degli artisti e i suoi significati in modo che loro possano capire e affascinarsi. Ho iniziato come operatore didattico agli Uffizi, non c’è scuola migliore che quella dei bambini. Nell’educazione alla creatività e all’amore per l’arte non serve troppa erudizione ma allinearsi, mai da un podio, così che i giovanissimi salgano verso la conoscenza, trasmettendone la sensibilità. L’arte stimola e arricchisce i processi critico cognitivi, indispensabili nella società di oggi.
Foto ©Nicola Neri